In età romana (I-IV secolo d.C.) Cairate era probabilmente un vicus, un villaggio, dove non mancavano piccoli santuari o recinti nei quali venivano poste are dedicate agli dei ed epigrafi, alcune di esse conservate nel monastero. Gli scavi archeologici hanno permesso la scoperta di tracce di una villa rustica romana al di sotto delle stanze monastiche collocate sul terrazzamento affacciato sulla valle del fiume Olona. Nella parte corrispondente alla zona della chiesa del monastero, si sono conservati i resti del granaio della villa, usato per l’immagazzinamento di cereali e legumi destinati ai commerci lungo la via che collegava la valle dell’Olona a Milano e alle valli alpine.
Il complesso mutò aspetto nel corso del V e del VI secolo: venne a formarsi una necropoli, della quale oggi si possono vedere alcuni oggetti dei corredi funerari. È possibile datare al medesimo periodo una piccola chiesa funeraria, di cui si conservano poche ma chiare tracce: le fondazioni dell’abside e alcune sepolture interne ed esterne ad essa (2). Probabilmente il cosiddetto “sarcofago di Manigunda” (3) faceva parte di questo gruppo di tombe. Manigunda è la leggendaria fondatrice del complesso monastico. Secondo la tradizione era una nobildonna longobarda che, dopo aver bevuto alla fonte di Bergoro (paese confinante con Cairate) ed essendo guarita da una malattia, avrebbe deciso di fondare il monastero come atto di ringraziamento, dedicandolo a Santa Maria Assunta. Nel corso del XV secolo l’erudito umanista Tristano Calco testimonia la notizia del rinvenimento nell’edificio di un sarcofago contenente le spoglie di una donna abbigliata con una veste dorata, fibule in oro e cintura. Forse si riferiva proprio a questo sarcofago e ai resti del corpo di Manigunda.
Ara dedicata a Diana, I – IV secolo